giovedì 17 gennaio 2008

Folder 2

GRAPHICARTELL

Il processo di stampa, con la conseguente moltiplicazione e diffusione delle immagini, ha dato una risposta alle esigenze delle modernità: informazione, illustrazione, divulgazione. Ecco perché l’incisione è stata, a lungo, considerata un’arte nuova e “utile”. L’artista contemporaneo si serve ancora del linguaggio incisorio. Dunque si manifesta in lui una tenace volontà e un grande desiderio di conservare questa tecnica, che va ormai scomparendo, soprattutto in un’era in cui l’elettronica, con la stessa forza di quella innovazione, dà vita all’odierna civiltà di massificazione delle immagini.
Per questi motivi il PoliArtStudio tenta, con alcune iniziative, di valorizzare, conservare e trasmettere la conoscenza dell’antica arte incisoria, risvegliando l’interesse anche tra il pubblico dei “non addetti ai lavori”.
Nel corso di Graphicartell si aprirà lo spazio espositivo di Via Università 61, ad alcuni artisti che hanno racchiuso i propri esemplari in una cartella (formula che pare rispondere ad esigenze di mercato). L’esposizione di tali raccolte (alcune delle quali già pubblicate e presentate da critici militanti), servirà, se non altro, ad alimentare il dibattito nei confronti di un’arte non più “utile”, ma certamente di altissimo valore artistico.
Art Director Giorgia ATZENI

FOLDER 1
Testimonianza dell'autore Primo PANTOLI
Correvano, giovani, i primi anni ’60, nel mondo cavalcati dagli sperimentalismi più audaci. Qui da noi, tenevano saldo il potere sul “grande mare del nulla” (come Francesco Masala definì la pittura sarda in quegli anni) le prof. E i colonnelli a riposo degli “Amici del libro”; veleggiavano placide barchette nell’unica galleria d’arte della città.
Remo Branca decretava nei suoi volumi tosti chi era incisore e chi no: io ne fui escluso.
La tradizione imperava nelle stanche riedizioni dei manuali Servolini. “L’acquaforte” di Melis marini (Hoepli 1922), i sardi l’avevano già dimenticata. Il marchese Benvenuti, direttore del Gabinetto delle Stampe, me ne procurò una copia che divorai. Faticai non poco a procurarami bulini e sgorbiette. Il Dessì di via Manno me le ordinò in Germania; il linoleum lo cercavo fra gli avanzi polverosi dei cantieri. Queste incisioni le stampai nella vecchia tipografia dell’Unione, dove un “proto” tedesco stette curvo sulla piano-cilindrica per dieci giorni. Mario Ciusa fu, come sempre, entusiasta delle mie cose; i cagliaritani, no. La cartella rimase invenduta nella bella vetrina di Cocco, via Manno. Costava 20.000 lire, 9 incisioni. Ora ne restano due copie di una tiratura di 80.
La storia è una delle mie storie, alla ricerca di un senso, nella vita; una vecchia storia che ritorna.

Testo critico Alessandra MENESINI
Nella bella presentazione scritta dell’epoca da Mario Ciusa Romagna, si legge un ritratto degli anni giovanili dell’artista, i maestri, la vita fiorentina, le letture, l’approdo in Sardegna nel 1957 e il successivo percorso artistico. Poi la cartella si apre, nelle nove immagini con cui Primo Pantoli racconta una storia, o il suo riassunto breve. In un asciutto bianco nero l’artista incide un segno netto che si fa seghettato nei corpi e avaro di zone di luce. Alla prima scena, titolata “tra i fiori e la legge”, l’autore impone il dualismo di una figura bifronte e come sdoppiata, intenta a coltivare sogni, ma con un occhio alle tavole della legge. Nella successione crono logica di una visione un poco ironica e sostanzialmente amara, la sintesi di un amore prigione con la sensualità, più indifferente che felice, di nudi femminili chiusi in una stanza. E poi un ventre materno ingombro di prossime complicazioni, e un parto di molto dolore, esploso in un urlo. Unica pausa, un albero con grosse radici e rami contorti, nonostante cresca sulle dolci colline di Fiesole. Il seguito si distende nella noia quotidiana, nel limiti di stanze e cortili, in un rapporto a due intrappolato tra piccoli recinti senza uscita. Rimangono i fiori al protagonista. A cui è venuto, tra lavatrici e tedi casalinghi, un muso da elefante.

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